Fu in questo modo che ai primi di febbraio, a due settimane dalle elezioni, il lucertolone decise di farsi una seratona al Marittima Club di Jesolo. La festa era aperta a tutti, come ogni festa da campagna elettorale che si rispetti.
Tutto era stato preparato alla perfezione, come un pranzo domenicale. Gli abiti, le battute, le mosse e la sbobba che avrebbe dovuto infilarsi lo schifoso. Avremmo dovuto attendere che andasse alla toletta e BAM! Decisamente una brutta morte per un politico in erba. In quella macchina che ci portò al mare, l'aria era palpabile come una tetta al silicone.
Ore 21:30. Il Marittima non avrebbe aperto prima delle dieci, e anche alle dieci non ci sarebbe stato comunque nessuno. Avremmo dovuto pazientare fumando mille e una sigarette. Meno male che Pinto, quella scimmia di Pinto, aveva recuperato un cartone di birra dalla sua cantina. Avevamo parcheggiato in uno spazio industriale di fianco al locale. Eravamo più invisibili di un grammo di coca in un pacco di Eridiana.
Il piano era di una semplicità sconcertante. Io e Giò saremmo entrati al Marittima, mentre Pinto avrebbe atteso in macchina, pronto a portarci via se qualcosa fosse andato storto. Giò doveva far girare la voce che io avevo roba buona. Quello conosceva mezzo mondo, e tutto quel mezzo mondo era un abitué di quella Gomorra del Marittima Club. Un posto da pezzi grossi, dove il pesce più piccolo peserà sì e no venti chili. La gente avrebbe cominciarmi a chiedere roba, chiaramente. Io dovevo tirare su il prezzo a chiunque me l'avrebbe chiesta,così che nessuno se la sparasse al posto del rettile. Quando Giò sarebbe riuscito a parlare al Cocco, l'avrebbe spedito a me, e io gli avrei offerto un giro, un giro pesantino. La siringa era già pronta assieme alla fialetta. Tutto in macchina presidiato da Pinto. Una volta fatto saremmo spariti nel nulla con una qualsiasi scusa.
Ore 22:00. Arrivarono i buttafuori, salutandosi con acheiche pacche sulle spalle. Chiesi a Giò se sarebbero stati un problema. Mi rispose che suo padre conosceva il proprietario e che non avremmo rischiato nulla. Per sicurezza lasciai giù i documenti, in caso di necessità di riconoscimento.
Ore 22:30. Il Marittima accese la musica. Avrei dovuto cominciare ad abituare l'orecchio all'house music.
Ore 23:00. Arrivate le prime Porsche. Non sapevamo a che ora il Cocco sarebbe arrivato. Andammo a chiedere.
L'entrata. Giò salutò berlusconianamente i buttafuori che gli risposero con un cenno muto. Il giardinetto del locale era un misto tra neo-kitsch e minimalismo al neon viola.
Dal terriccio spuntavano cadaveriche imitazioni della Venere di Milo, mentre una Ford Mustang di chissà quale decennio risplendeva in un'apoteosi di riflessi scioccanti. Aperta la porta del Marittima la musica si alzò improvvisamente di dieci tacche. Trattenni una bestemmia nella mia testa, che andò a depositarsi immediatamente nel mio subconscio.
– Carissimo!
– Carissima!
Voltai così velocemente il capo che rischiai un colpo di frusta. Giò aveva iniziato le pubbliche relazioni.
– Non pensavo venissi anche tu qui!
– E io sarei mancato a un evento del genere? Non capita tutti i giorni di poter scroccare un mojito al futuro Primo Ministro hahaha!
L'insopportabilità borghese di Giò cominciava a far capolino tra un sorrisetto e l'altro.
– Ah, ti presento Geffo.
Allungai la mano, sforzando una smorfia: – Eh... Geffo.
– Giovanna.
Tutta panna. Veramente le sbarbatelle dell'upper class le sfornano a livello industriale. Sarei arrivato a credere di essere in mezzo all'attacco dei cloni, non fosse stato per il colore dei capelli o per i vestiti.
La chiacchierata si prolungò per una decina di minuti parlando di programmi TV, scarpe e nuovi morosi. Questa non sapeva niente di quando sarebbe arrivato il supergiovane Cocco Drillo. La salutammo a dopo. C'avesse creduto.
Mi indirizzai al mio compagno: – Giò, io vado al banco. Comincia a crearmi un alone di mistero.
– Haha vaffanculo, Geffo!
– Sembri quasi a tuo agio, dimentichi che dobbiamo ammazzare un alligatore?
Con un ghigno in mezzo ai denti: – Stai buono Geffo, non mettermi ansia. Ricordi? Carini e coccolosi. Ci aggiorniamo dopo.
S'era incazzato. Lo conoscevo troppo bene. Ma gli sarebbe passato parlando con la prossima biondina.
Arrivai al bancone del bar e mi sedetti. Un barman dai baffetti siculi e accondiscendenti mi squadrò con reverenza.
– Un gin lemon.
– Arriva!
Mentre stava accrocchiando il ghiaccio e le bottiglie attaccai bottone: – Grande serata, eh?
– Altroché!
– Eh, non capita tutti i giorni di poter scroccare un mojito al futuro Primo Ministro.
– Haha, e perché no?
Sapevo di aver rubato la battuta a Giò. Ma dovevo sembrare uno di loro per poter uscire libero da quel paradiso artificiale.
– Maaa... Mica sapete a che ora arriva il capo?
– Il capo è già arrivato.
– No dicevo, il signor Drillo.
– Ah! Non sono tenuto a saperlo. Ma spero di trovare il tempo di stringergli la mano, – gli occhi gli si illuminavano come se funzionasse a fotocellula.
– Avrai un bel po' da fare questa sera...
– Già
– Sei da solo?
– No no, gli altri sono in cucina. Finché non c'è ressa facciamo a turno.
– Capisco.
Qualche secondo di silenzio.
– Ecco il suo gin lemon.
– Grazie capo, e dammi del tu. Del lei me lo faccio dare solo da chi mi sta sui coglioni.
Baffetto barman si congedò con una risatina stupida per andare a lavare gli attrezzi.
'Sta maledizione del coccodrillo aveva veramente impestato chiunque. Era riuscito a imbambolare tutti gli strati della società: dai pensionati ricchi ai giovani straccioni. Festini ed illusioni di bella vita funzionavano anche meglio di tre reti nazionali. La questione qui si giocava sulla partecipazione. Ognuno era parte di un mondo bellissimo fatto di musica e bevande colorate che gli permettevano di arrivare al loro quarto d'ora di notorietà. I tabelloni elettorali erano pieni di manifesti costituiti da un primo piano di un qualsiasi tizio fotografato alle feste organizzate dalla MdCD. Sovrimpressi il logo del partito e una frase detta al momento dal tizio in foto. Le migliori erano: "Spacchiamo dibbrutto!" o "Siamo i megliooo!!!". Ognuno partecipava alla campagna elettorale senza in realtà far nulla se non divertirsi. I dibattiti e le interviste erano quanto di più surreale il Grande Architetto avesse potuto creare: – Come pensa di risolvere il problema della disoccupazione giovanile?
– Trovando un milione di posti di lavoro!
– Che posizione pensa di prendere in caso di un intervento NATO in Iran?
– Con la pace nel mondo!
Sarebbe stato in grado di farci sganciare una bomba atomica in testa dallo zio Sam di turno. Ognuno aveva dimenticato i propri problemi, credendo di vivere in un sogno che si realizzava man mano con il proprio contributo: una kapiroska e quattro parole se ti facevano una domanda.
Non osavo pensare cosa sarebbe stato un Roberto Benigni agli affari esteri. Trapelava già l'idea di far adottare a tutta la comunità internazionale la più bella hostituzione del mondo! Baricco intendeva sostituire Oceano mare ai Promessi sposi nelle letture obbligatorie delle superiori. C'aveva provato con la Divina commedia, ma Benigni lo aveva spernacchiato poco prima che avesse finito la frase. Saviano aveva invece già stilato un decreto legge per istituire gli arresti preventivi contro qualsiasi studente che avesse guardato di traverso un celerino anche solo perché era girato di spalle.
Non avevo mai amato il grigiore democratico che mi circondava come in quei giorni. E comunque, il fulcro di tutto, era che un coccodrillo antropomorfizzato era troppo.
Finalmente una buona notizia, Giò arrivò da me con un sorriso sornione: – Arriva poco dopo mezzanotte. Abbiamo un'ora per seminare il tutto, più che sufficiente!
– Bene, comincia, io ti raggiungo dopo. Meno parlo con questi fighetti, meglio sto.
– Sì, lo so Geffo, lo so...
Mi divertiva troppo farlo incazzare in questi momenti.
Passò quest'ora che sembrò eterna. La noia del parlare di niente con nessuno mi stava uccidendo come un poeta maledetto. Già in quattro-cinque erano venuti a chiedermi della roba. Richieste che ero fortunatamente riuscito a glissare proponendo prezzi improponibili.
Ebbi come un senso di sollievo che si mischiò con l'entusiasmo di tutto il locale quando sentii uno a caso annunciare in crisi estatica: – È lui! È arrivato!
Il signor Drillo fu accolto trionfalmente dalla sua nuova corte. Addosso a lui una camicia chiara, un gilet grigio e un vestito bianco latte incorniciavano l'indistinguibile cravatta verde smeraldo che accompagnava ormai da mesi le sue comparizioni in tivù. Un fantasma formaggino, pronto a spaventare tutte le nazioni che si fossero mosse contro il suo progetto di rinnovamento democratico. La marmaglia infighettata che lo aveva aspettato fin'ora era un unico urlo estatico che sembrava voler sfidare le casse di house music in pompa da tutta la serata: – È un bell'oratore! Un apostolo!
Incontrai lo sguardo di Giò, che improvvisamente si velò di preoccupazione, come se avesse realizzato solo ora quello che avremmo dovuto andare a fare. Di Pinto, invece, nessuna notizia. Tanto meglio.
Il signor Drillo, intanto, aveva attraversato la sala passando in mezzo ad un mare di gente che per lui si divise per lasciar passare lui e il suo popolo di gorilla. Arrivato in postazione prese in mano il microfono: – Siete troppo buoni, vi adoro! Ma non voglio che questa festa sia per me, ma sia per voi. Abbiamo la vittoria in pugno. Pensiamo a divertirci, avremmo bisogno di tutto questo per vincere!
Detto questo, si librò sulla pista da ballo come una libellula fatta di coca. Una captatio benevolentiae della migliore scuola renziana. Il nuovo idolo era intanto stato assalito dalla folla che smaniava per toccarlo o dargli una pacca sulla spalla. Nemmeno Skrillex avrebbe avuto il carisma che il signor Drillo aveva in quella discoteca.
Era iniziato il count down per quel brutto figlio di puttana.
Dopo una mezz'ora di ormoni al massimo la festa ritornò tranquilla. La gente s'era già abituata alla presenza del vip e, anzi, sembrava aver ritrosia a sembrare troppo una groupie eccitata.
Ecco che così vedo Giò avvicinarsi al cocco. Tutta la scena mi si svolge come un film muto, non riuscendo a capire un'acca di quel che si dicono. Tutto occhei per ora. Vedo Giò stringergli la mano e parlare di chissà cosa. Ridono. Si spostano al bar. Giò si fa offrire un mojito (ce l'ha fatta il paracula). Ah, mi hanno indicato. Il signor Drillo non si gira. Annuisce. Giò si alza e gli dà una pacca sulla spalla. Il cocco resta seduto. Giò mi viene vicino.
– A posto.
– Com'è?
– Che fra poco manderà uno dei suoi a farti dar la roba.
– Sì ma cosa dovrei dirgli?
– Te la devi giocare te.
– Grazie al cazzo, Giò.
– Di niente –, e se ne va da una bionda.
Ora i cazzi dovevo grattarmeli io. Occhei, occhei. Cercai di calmarmi. Avrei dovuto aspettare ancora per dieci? quindici minuti? E poi avrei dovuto improvvisare. Non ero certo nella situazione di scrivere una sceneggiatura. Eppure, come da copione, mi si avvicinò un gorillone. Di stazza omerica, orecchino alla chicano e non un filo di capelli.
– Sei tu quello della roba? –, mi fece.
– Sì.
– Non ti ho mai visto in giro.
– Eh... è che...
– È che?
– È che vendo roba che non si trova in giro. E ho le riserve contate.
– Non è che vuoi fottermi?
– Per carità, no! Ti manca l'aspetto da puttana.
Il gorillone inarcò il ciglio destro. Che cazzo mi era venuto in mente di buttargli una battuta del genere. Se non aveva visto Pulp Fiction avrebbe fatto bene ad ammazzarmi, e gli avrei pure dato una mano.
Senza dir nulla mi fece segno di seguirlo. Mi portò dal signor Drillo, che era impegnato a chiacchierare col barman a baffetto. Il gorilla fece per richiamare l'attenzione del signor Drillo, ma esitò: – Cerca di tenerti le battutine per te.
– Sì sì sì, capo! – risposi in preda al nervosismo.
Due bussatine alla giacca lattiginosa del futuro Premier, e quello si voltò.
– Ah ecco!
– Buona sera signor Drillo. Sa che l'ho vista alla televisione?
– Difficile non avermi visto, non le pare? – mi rispose ironicamente lanciando un'occhiata divertita al suo scimmione. L'ansia non mi era certo amica.
– Eh no, volevo dire. L'ho vista quando ha fatto la sua prima comparizione, a Porta a Porta.
– Ah sì, l'avevo dimenticata ormai. Senti, posso darti del tu? tu dammi del tu eh, dicevo: parliamo d'affari. Mi hanno detto che hai buona roba.
Chissà che cazzo gli aveva detto Giò per farsi spulciare tutto così facilmente.
– E han detto bene.
– Dicono anche che sia un po' troppo costosa, però.
– È il prezzo che vale.
– Cosa renderebbe la tua roba così costosa?
– Be', potrebbe farsi un'idea lei.
– Dammi del tu.
– Ah! potresti farti un'idea comunque.
– Sai, è che non sono passato al bancomat, e non ho molti spicci dietro.
– Ma un assaggio gratis, non potrai rifiutarlo, no?
– Be', se la metti così.
– Sono pronto tra dieci minuti. Il tempo di passare in macchina. Dove vuoi che c'incontriamo?
– Nella mia macchina. Hai presente qual è?
– Sì. Tra dieci minuti là.
Mi congedai con una seria stretta di mano e uscii. Non avevo fatto una scena così cazzuta dall'ultima volta che avevo interpretato l'alberello alla recita dell'asilo.
Raggiunsi l'auto. Pinto russava con la bava alla bocca sul lato guidatore. Bussai al finestrino, facendolo svegliare di colpo. Spaventato accese l'auto per scappare quando gli urlai: – Sta' fermo cazzo! Devo prendere la roba!
– Ah, scusa Geffo mi hai spaventato...
– Sblocca le portiere, va'.
Mi sedetti al sedile passeggero.
– Eh, allora come va? – chiese Pinto.
– Tutto bene. Dovevi vendermi come facevo il duro col signor Drillo. Hahaha!
– Spero vada tutto bene. Stasera davano un filmone su Rai 5.
– Ce lo scaricheremo, Pinto.
– Facesse meno freddo...
– Lo so. Tra una mezz'ora saremo a casa a farci un tè del cacciatore, eh?
– Sì.
Caricai la siringa con la robaccia. Non mancava nulla: laccio emostatico, cotone. Tutto in omaggio.
Feci un respiro.
– Buono, io vado.
– In culo alla balena, Geffo!
– Al coccodrillo, vorrai dire! Hahaha!
Mi tirai su dal sedile, avviandomi al macchine del cocco.
Fu il tragitto più lungo della mia vita. Peggio di farsi tutta la Romea a piedi. Sentivo i miei piedi affondare nel terreno come asfalto fresco. In realtà avevo mentito al cocco, in quanto non avevo assolutamente idea di quale fosse la sua auto, ma contavo sul fatto che fosse parcheggiata in bella vista e sorvegliata da un numero indefinito di guardie del corpo. E così fu. La luccicante macchinina, si fa per dire, del signor Drillo pareva quasi un'oasi nel deserto.
Mi presentai alla guardia. Un'altra. A differenza dell'ultima, questa aveva mantenuto un minimo di capelli sul capo.
Assunsi la faccia seria del business e chiesi: – È già dentro?
Non ci fu il tempo di sentire la risposta che l'uomo rettile abbassò il finestrino: – Sali.
E salii.
– Allora, bello. Di solito prendo roba solo da chi conosco. Ma è pur vero che per conoscere una persona bisogna sempre mollarsi un po'. Quindi facciamo che di te mi fido, per questa volta, sempre che tu ti fiderai di me in futuro.
– Vuoi il mio voto? Era già scontato sai...
– Non è il tuo voto che mi interessa. Voglio che le prossime, vediamo, dieci dosi, sempre che questa roba mi piacerà, me le darai a metà prezzo. Uh?
Che me ne fotteva. Eppure dovevo tener su la commedia.
– Uhm... Io farei un'altra cosa. Assaggia, e poi ne riparliamo, eh?
– Tu mi piaci: non sei come i soliti venditori. Ma c'è un che di familiare in te. Come se ti avessi già visto tanto tempo fa...
Cazzo. Se mi sgamava?
– Facciamo che...
Che?
– … per stasera va bene così. Questa campagna elettorale finirà a breve, e stasera voglio solo distrarmi un po'. Poi, se questa roba non andrà bene, sappi che ti sei messo contro il futuro Premier hahaha!
Risi anch'io.
– Ecco. Laccio e cotone in omaggio.
– Ora va' fuori dalle palle, eh? Ho da fare... –, mi disse con un sorrisino.
Gli sorrisi di conseguenza, e me ne uscii.
Sceso, la guardia del corpo mi imbruttì, per poi mettersi alla guida dopo due bussatine sul finestrino dai sedili dell'auto.
Sparirono sulla statale. Saranno andati in chissà quale buco a bucarsi.
Mollai un sospiro di sollievo, e andai a cercare Giò.
Quello se ne stava a ballare con tipe di ogni forma e colore. Totalmente ubriaco e carico di testosterone. Mi permisi di disturbarlo: – Il dado è tratto.
– Che?
– Il coccodrillo. Ha abboccato.
– Cosa?
– Che insomma ho fatto tutto!
– Ah!
Silenzio.
– Aaaaaah!
– Sì!
– Aaaaaaaaaaaaah!
– Sì, va bene, ma ora andiamo eh?
– Cazzo, ma è una festa da paura!
– Giò. Andiamo.
– Occhei, occhei.
Mollò la tipa con cui stava ballando a un altro a caso e mi seguì all'uscita.
La mattina dopo, i giornali:
DRILLO È SCOMPARSO
Si segue la pista del terrorismo.
VENEZIA. Il terrorismo stende un'altra volta la sua ombra minacciosa sulla vita politica del nostro Paese. Proprio ieri notte presso il Marittima Club di Jesolo, dove si stava svolgendo il meeting veneziano con i suoi giovani sostenitori, il leader del neonato Movimento di CoccoDrillo è scomparso nel nulla. Il fatto è avvenuto mentre il signor Cocco Drillo si trovava nella sua auto, poco lontano dal locale, forse a svolgere qualche attività strettamente riservata. Assieme a lui, la guardia del corpo che tutelava la sua sicurezza è rimasta vittima dell'agguato. Secondo gli inquirenti i terroristi avrebbero liberato dentro l'auto un feroce animale di grossa taglia. Non è esclusa l'idea di un coccodrillo, stando alle lacerazioni sul corpo della vittima riscontrate dal medico legale. Questa tesi avrebbe dell'incredibile, ma il fatto sarebbe confermato dalle tracce lasciate dall'animale una volta liberatosi dall'auto. Il presunto avvistamento di un coccodrillo nella Laguna veneta da parte di alcuni pescatori di Chioggia non farebbe che avvalorare ancor di più la tesi. Intanto le ricerche del signor Drillo sono già partite, nonostante sembri che gli inquirenti siano in attesa di una qualche rivendicazione politica. Si attendono nuovi aggiornamenti, nella speranza che questa triste storia del terrorismo sparisca un giorno dalle nostra troppo maltrattata Italia.
A quanto pare, il secondo giro di droga aveva fatto l'effetto contrario al lucertolone. Sì, lo so, non ci avrei creduto neanch'io se me l'avessero raccontato.